La direttrice dequalificata

La storia che segue arriva dal cuore della Sicilia e a scrivermi è una giovane donna iscritta al gruppo "Mobbing ITALIA" (Facebook).


Caro Carlo,

ho appena letto le tue mail e onestamente descriverti bene il mobbing che sto subendo è per me come aprire la ferita che i miei titolari mi hanno inflitto, ma visto che non voglio che continuino nel loro intento, e anche con altre persone, voglio chiarirti la situazione. Seguirò passo passo tutta la tua traccia di descrizione.

Lavoro in un negozio e sono stata assunta in funzione delle mie competenze nel settore, con la promessa - da parte dei miei datori di lavoro - di essere il direttore del punto vendita e gestire il negozio al meglio delle sue potenzialità. Fatto sta che, anziché essere assunta come direttore del punto vendita, per pagarmi meno mi hanno inserito nella ditta con la qualifica di addetta al controllo vendite (quinto livello del CCNL). Io ho accettato questo per andare incontro alle esigenze aziendali... ma, da lì a breve, mi sono accorta che la mia figura, al di là delle mie potenzialità, era soltanto un "raccogli lamentele" utile ai datori, i quali, provenendo da un altro settore, non capivano niente di questa attività commerciale. In altre parole la mia figura di finto direttore era - di fronte al pubblico - soltanto un modo per essere la valvola di sfogo per delle persone che non ci capivano nulla e, quel che è peggio, nulla facevano per capirci qualcosa...

Al di là di questo, ti faccio presente che per loro riconoscere ai dipendenti ferie, permessi, congedi matrimoniali e quant’altro riconosciuto al dipendente era come bestemmiare: volgarità e bestemmie si udivano anche dentro il negozio e in presenza dei clienti, i quali, allibiti, assistevano ai rimproveri che i dipendenti dovevano subire dai titolari della ditta.

Spesso - e in presenza dei clienti - mi sono ritrovata nella situazione in cui uno dei datori richiamava in maniera volgare il dipendente che subiva in silenzio. Mai i datori di lavoro si sono impegnati a modificare o frenare questi loro atteggiamenti aggressivi: hanno la mentalità del vecchio padrone di una volta, e sono convinti che nell’elargirci la paga possono vantare diritti sulle nostre vite.


Con me tutto è degenerato dopo uno scontro verbale con uno dei tre datori, il quale cercava l'occasione giusta per buttare fuori tutto quello che pensava di me. E’ successo così che un giorno si è messo a gridare così forte che gli occhi gli stavano uscendo dalle orbite; tutto questo è avvenuto in presenza di clienti e di sua moglie. Da lì è iniziato il mio periodo di persecuzione. Questo risale a marzo di quest'anno. Dopo qualche giorno sono stata richiamata in ufficio dagli altri due datori che volevano un aggiornamento sull'accaduto, e ciò nonostante uno dei due fosse presente allo scontro, ma senza intervenire.

In quell'incontro, dopo aver sottolineato la mia posizione da finto direttore e lo scontro con il loro socio, dissi che mi sarei data da fare per cercare una nuova occupazione e, in tal modo, avrei rassegnato le mie dimissioni. Loro mi comunicarono che avrei avuto tutto il tempo disponibile per farlo e che aspettavano mie comunicazioni. Tutto ciò avvenne in maniera finta e pacifica, alludendo al fatto di concludere il nostro rapporto lavorativo in maniera pacifica. Ma trascorse solo qualche giorno che si scatenò l’inferno.

A intermittenza di almeno una volta ogni settimana, i soci mi domandavano quando me ne sarei andata: parlavano senza mezzi termini e soprattutto in negozio quando erano presenti anche i clienti. Mi convocavano spesso anche in ufficio per chiedermi di rassegnare le dimissioni anche senza aver trovato un altro lavoro. Ad un certo punto mi comunicarono anche che non potevano più sostenere il costo del mio stipendio perché le cose andavano male; mi proposero 1500 euro per andarmene, dicendomi che era quanto potevano darmi.

In quel frangente proposi che fossero loro a licenziarmi, così almeno avrei usufruito del sussidio di disoccupazione per sei mesi. Ma a questa mia proposta - in un certo senso estorta – ebbi il loro netto rifiuto motivato dal fatto che non erano intenzionati a restituire i contributi regionali ottenuti in seguito al mio contratto con la legge 407.

Ogni situazione era buona per comunicazioni all'interno dell'ufficio e per chiedermi di dare le dimissioni. Nelle ultime convocazioni in ufficio mi dissero anche che avrebbero messo tutti a part-time per colpa mia che non me ne andavo. Bastò questo per mettere tutti i miei colleghi contro di me. Lo hanno fatto. Io, però, non ho dato né le dimissioni né ho accettato la loro proposta di lavorare a tempo ridotto.

Nelle ultime settimane convocarono in ditta la loro consulente del lavoro, la quale, in una riunione, comunicò a tutti che i titolari avrebbero dovuto o licenziare qualcuno o metterci tutti part-time. La consulente costrinse, con il supporto dei datori, tutti i miei colleghi a firmare il tempo parziale. Di quella riunione io non ero stata avvisata e mi mandarono a chiamare a casa: la consulente si scagliò contro di me chiedendomi di aderire al part-time oppure di auto-licenziarmi. In quella occasione chiesi di essere licenziata dall'azienda, ma la consulente mi rispose che dovevo auto-licenziarmi o firmare il part-time, sostenendo che, a seguito della mia "particolare" situazione, con o senza il mio benestare sarei passata al tempo ridotto e avrei avuto anche un cambio di qualifica. In pratica mi avrebbero ridotto a lavorare come magazziniera.

Al mio rifiuto di aderire alla proposta della consulente, mi dissero che avrebbero mandato allora una comunicazione scritta a casa mia, alla quale avrei potuto rispondere entro cinque giorni. Oltre a questo la consulente incitò i miei colleghi e schierarsi contro di me. A quelle parole lasciai la riunione in uno stato emotivo disastroso e il giorno dopo mandai il certificato medico per quindici giorni. Di quella comunicazione a casa non arrivò nulla, ma in compenso, e per il loro piacere, io ho visto l'inferno.

Ho fatto anche una visita psichiatrica e mi sono stati prescritti ansiolitici e tranquillanti...

Ora, mentre ti scrivo, rivivo tutto il male che ho ricevuto, ed è come se facessi un passo indietro. Rivivo i miei attacchi di panico che erano diventati frequenti ormai. Penso ai miei attacchi d'ansia e alle mie tachicardie... e quelle gocce che ogni giorno dovevano darmi sollievo e invece mi distruggevano psicologicamente e fisicamente. Ho la bocca amara, come se avessi ingerito veleno. Ho perso quattro chili. Ho perso la serenità e, a momenti, anche la voglia di vivere... e tutto ciò nonostante si avvicini il giorno più bello della mia vita: quello del mio matrimonio.


Oggi è il quarto giorno senza medicine... combatto per riprendere me stessa, ma è davvero difficile perché i titolari del negozio hanno messo in difficoltà parecchie famiglie nel tentativo di togliermi di mezzo: continuano a girare per il negozio con disinvoltura e non considerando neanche tutto il male che stanno facendo. L'azienda va male, ma loro continuano a ristrutturare case e a comprare automobili nuove, mentre i dipendenti - padri di famiglia - hanno tante difficoltà economiche.

Cosa devo aggiungere? A questa situazione, ci deve essere per forza qualcosa o qualcuno che mi deve e ci deve aiutare […].

M. (Caltanissetta)

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