Demansionamento, primo passo che conduce al mobbing?

Se essere demansionati non significa essere automaticamente soggetti a mobbing, tuttavia il demansionamento è la strada che il datore di lavoro privilegia nel suo tentativo di sbarazzarsi di un dipendente ritenuto di troppo. A parlarmi di questa "odiosa pratica datoriale" è l'avv. Maurizio Jacobi che ho avuto come difensore nella mia vertenza legale contro l'Opera San Pio X di Treviso.

Avv. Jacobi, può parlarmi di un caso di demansionamento che l'ha particolarmente colpito?
Tra i vari casi da me trattati posso citare quello di una cliente che, grazie al conseguimento di specializzazioni in marketing e comunicazione, era stata assunta da un'importante azienda: fin dall’inizio del rapporto lavorativo era stata inquadrata al livello A1 Superiore del proprio Contratto collettivo nazionale del lavoro, con funzione di addetta “Marketing e Comunicazione”, alle dipendenze gerarchiche ed operative del responsabile del Settore Commerciale dell'azienda.

Dunque era “partita” bene questa esperienza lavorativa.
Sì, tanto che dopo aver maturato una certa esperienza in azienda e aver dimostrato capacità e competenza, questa lavoratrice veniva assegnata alla guida di una unità organizzativa denominata “Relazioni clienti – utenti”, che inglobava anche l'unità “Marketing e Comunicazione”. Per l'azienda, come poi è stato dimostrato, questa scelta aveva il significato strategico di avere una persona specializzata nelle tecniche di comunicazione aziendale in una posizione di diretta osservazione della realtà esterna, con la possibilità, pertanto, di agire in modo proattivo; inoltre, grazie ai dati rilevati col lavoro di questa unità, la mia cliente offriva anche un efficace supporto alle iniziative promozionali e commerciali dell'azienda.

Quindi, questa lavoratrice veniva promossa ad un livello superiore...
Diciamo che da un lato veniva nominata “Capo Reparto Marketing e Comunicazione”, dall'altro manteneva il precedente inquadramento giuridico – contrattuale. Comunque c'è un dato di fatto: la nuova qualifica aveva attribuito alla lavoratrice altri compiti e responsabilità in aggiunta a quelli esercitati in precedenza, e di gran lunga più elevati.

Può spiegare meglio questo passaggio?
Nel suo nuovo ruolo di “Capo Reparto Marketing e Comunicazione”, la lavoratrice aveva la direzione ed il coordinamento operativo di cinque persone, ovvero un assistente e quattro addetti alla segreteria telefonica, e a queste figure si aggiungeva anche la collaborazione di una segretaria...

In tale veste, e dirigendo e coordinando cinque lavoratori, di cosa  si occupava la sua cliente all'interno dell'azienda?
Aveva  ampi margini di discrezionalità operativa riguardo alla formulazione del piano di strategia di marketing e comunicazione annuale con proposta di budget, attuazione e gestione dello stesso, e in tale veste elaborava anche la strategia complessiva di marketing e comunicazione dell’azienda definendo gli obiettivi da raggiungere nell’anno. Si occupava anche della promozione dell’immagine istituzionale e del marchio aziendale: in pratica  era responsabile dell’immagine esterna dell’intera azienda promuovendo tutte quelle azioni che andavano ad implementare la costruzione, appunto, di quell’immagine positiva complessiva nei confronti del pubblico esterno al fine di migliorare la percezione dell’azienda e dei suoi servizi da parte dei clienti.

In sostanza, sul posto di lavoro come si traducevano questi compiti che le erano stati affidati?
Doveva coordinare e controllare il contenuto della comunicazione rivolta al cliente in base agli obiettivi prefissati nella strategia, fino alla trasmissione su mezzi stampa e televisivi o fino all’invio della lettera al cliente. Doveva poi pianificare le campagne pubblicitarie e informative sia per l’azienda che per i servizi: era lei la responsabile della scelta dei mezzi di comunicazione e della programmazione di acquisto dei mezzi stampa e televisivi per pubblicizzare e informare i clienti sulle nuove iniziative o i cambiamenti dei servizi dell’azienda. Si occupava anche dell'organizzazione di eventi, della stesura dei comunicati stampa e del sito internet aziendale. Tra le sue responsabilità rientravano anche la progettazione e il controllo newsletter e house organ dell'azienda con la stesura di tre numeri all'anno: aveva il compito di scegliere gli argomenti da inserire nel giornale aziendale, sia esterno per i clienti che interno per i dipendenti, gestendo e controllando il contenuto fino alla stampa e distribuzione finale. Un altro compito molto delicato era quello della gestione delle sponsorizzazioni.

Cioè?
Si occupava di raccogliere le varie richieste di sponsorizzazione che arrivavano in azienda scegliendo quelle più adatte a fornire un migliore ritorno di immagine, e proponendole quindi al Consiglio di Amministrazione con un proprio commento positivo o negativo in base ad una valutazione personale. Era sempre lei, poi, che successivamente si occupava di tenere i contatti redigendo il contratto di sponsorizzazione, inviando il logo aziendale per l’inserimento nei vari strumenti di comunicazione e organizzando anche nei vari eventi la presenza dell’azienda per evidenziarne la sponsorizzazione.

In virtù di questi compiti e responsabilità la sua cliente aveva chiesto l'adeguamento dell'inquadramento giuridico-contrattuale? 
Certo. Lo aveva fatto fin dall’assunzione, ma soprattutto dopo l'assegnazione alle nuove mansioni.

E il suo dirigente cosa le aveva risposto?
Aveva sempre assicurato alla mia cliente l’inquadramento nella categoria “quadro”, specificando che per i compiti a lei affidati era quella la qualifica che le spettava. Inoltre, in seguito, all'unità organizzativa “Marketing e Comunicazione” veniva accorpato un altro reparto composto da otto dipendenti provenienti dal soppresso “Servizio Affari Generali” della ditta, sicché, da quel momento, la mia cliente si trovò a gestire il lavoro di tredici dipendenti dell'azienda...

Per quanto tempo la sua cliente svolse queste mansioni?
Per più di sei mesi e, quindi, aveva maturato - e in via definitiva - il diritto ad essere inquadrata e mantenuta nella qualifica di quadro o in altra superiore, così come dispone il Ccnl per la ipotesi di quadri dove si legge che <> e comunque dispone la  norma residuale di cui all’art. 2103 codice civile.

La sua cliente poteva dunque essere ben felice della posizione lavorativa raggiunta. Le chiedo, però, quando e come  iniziarono i problemi in azienda.
Con le dimissioni del suo dirigente commerciale, le competenze e le responsabilità della mia cliente subivano un notevole cambiamento in termini di contenuti, e di conseguenza cambiava anche il suo ruolo in azienda. In seguito, la funzione di questa lavoratrice cambiava denominazione: da “Marketing e Comunicazione” diventava “Comunicazione” e veniva collocata nel Servizio Segreteria Generale che, pertanto, diventava “Segreteria Generale e Comunicazione”; in questo modo le tolsero tutte le persone che prima collaboravano direttamente con lei.

In sostanza, sotto il profilo operativo, cosa fu tolto a questa lavoratrice?
La mia cliente fu anzitutto spogliata anche della funzione della comunicazione, praticamente delegata in toto ad agenzia di stampa esterna: formalmente era delegata a intrattenere i rapporti con l'agenzia di stampa, ma in realtà questi rapporti intercorrevano direttamente tra agenzia e Presidente dell'azienda, e lei era sistematicamente scavalcata in ogni azione decisionale ed operativa. Inoltre, in relazione ai giornalini aziendali - cioè newsletter e house organ - la mia cliente aveva perso ogni facoltà di deciderne i contenuti sia dal punto di vista di scelta creativa che di obiettivi di contenuto testuale. Anche riguardo alla comunicazione pubblicitaria la lavoratrice che ho difeso era stata privata della facoltà di decidere le uscite pubblicitarie, il tipo di messaggio da veicolare e i mezzi sui quali promuovere il messaggio essendo - anche qui - scavalcata sistematicamente da altri. Infine, in relazione all'attività di sponsorizzazione, la mia cliente fu privata di tutte le facoltà propulsive e decisionali prima detenute; anche sotto il profilo logistico la lavoratrice non aveva più alcun supporto di tipo operativo per gestire la propria attività.



Intorno a questa erosione delle mansioni qualificanti della sua cliente, cosa succedeva in azienda?
La mia cliente non è stata mai compensata da alcuna altra mansione professionalmente equivalente, e ciò - bisogna a mio avviso sottolinearlo - nonostante in azienda fossero stati assunti diversi dipendenti di qualifica di quadro, o comunque pari a quelle della lavoratrice che ho difeso.

A quel punto quali funzioni svolgeva la lavoratrice?
Per lo più mere funzioni di segreteria, come la stesura di relazioni da presentare al Consiglio di Amministrazione per le richieste di sponsorizzazione e la redazione di contratti di sponsorizzazione, e poi di fornire all'agenzia di comunicazione i dati a questa necessari per la redazione dei comunicati stampa e per le campagne pubblicitarie.

A parte questa inesorabile operazione di ridimensionamento dei ruoli e delle facoltà decisionali della sua cliente, si verificarono anche altri fatti spiacevoli?
Purtroppo sì. Col cambio del dirigente commerciale dell'azienda, anche il suo programma di formazione subiva una notevole riduzione venendo a mancare completamente la partecipazione a corsi di formazione che, invece, prima erano frequenti. A questo l'azienda aggiungeva un insieme di comportamenti nei confronti della lavoratrice del tutto emulativi e vessatori, quali rimproveri continui e immotivati.

Avv. Jacobi, il comportamento di quest'azienda e lo spettacolare demansionamento di cui è stata vittima la sua cliente appaiono flagrantemente illegittimi e persecutori. Le chiedo: come si spiega questa situazione?
La mia cliente - che in passato aveva ottenuto numerosi attestati di stima sulla sua puntualità ed efficacia - è stata contro la sua volontà applicata a ruoli e mansioni che non corrispondono ad alcuna delle qualifiche prima indicate, né a quella di inquadramento contrattuale, ma, semmai, ad altre assolutamente deteriori. A mio avviso, il comportamento aziendale ha la sua prima origine nelle dimissioni del suo dirigente commerciale, anche se ha avuto un notevole peggioramento dal cambio della gestione dell’azienda: il nuovo presidente aveva da tempo destrutturato tutto quello che avevano fatto i suoi predecessori, a cominciare dalla gestione del personale. Del resto la mia cliente non era - da quanto ho potuto percepire - l’unica vittima della situazione che si era venuta a creare in azienda.

Immagino che sotto il profilo fisico la sua cliente abbia subito dei danni...
Certo. A causa del demansionamento stava subendo un irreparabile danno, essendo le conseguenze dell'illecito pregiudizievoli sul piano della dignità, della professionalità, della salute fisica e della vita di relazione.

Come si è concluso il contenzioso e quali sono, oggi, le sue personali considerazioni su quella vicenda giudiziaria?
Nell'attuale stato della giustizia italiana, l’unico vero modo di concludere in tempi ragionevoli un contenzioso, è una transazione; e così è stato, la mia cliente in corso di causa ha dato le dimissioni in cambio di una somma consistente. Del resto, pur avendo ottenuto un provvedimento d’urgenza a lei favorevole, in pratica non era agevole eseguirlo, visto che le sue mansioni erano state intanto prese da altri, con tutte le conseguenze del caso ove fossero state a loro volta sottratte; e la lavoratrice aveva totalmente perso fiducia e volontà di rimanere con quel datore di lavoro. Inoltre, per sua fortuna, la mia cliente aveva una professionalità tale da potersi inserire altrove con successo. Ma non senza fatica nell’immediato, a causa di uno stato d’animo di frustrazione e di insicurezza che pesava sul modo di relazionarsi con i possibili datori di lavoro. La mia personale considerazione è che nel nostro sistema i tempi di decisione e l’insufficiente coattività reale - non a parole - dell’esecuzione delle sentenze in questa materia - ma vale per molte altre - impediscono una completa tutela contro atti persecutori del datore di lavoro.

(tratto da "Un lavoratore di troppo. Storie di mobbing nella Marca trevigiana", di Carlo Silvano e Agostino La Rana)


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