Da Palermo un “No” deciso al mobbing

Per sconfiggere il mobbing abbiamo bisogno di persone coraggiose. Su Facebook è attivo un gruppo denominato “Il crimine del mobbing”, fondato dalla signora Silvana Catalano che, nell'intervista che segue, spiega i suoi obiettivi .

Perché su FB hai istituito il gruppo "il crimine del mobbing"?
Per diffondere il mio pensiero sull’argomento e verificare quante persone erano pronte a condividerlo. Ritengo che solo chi vive direttamente un’esperienza dolorosa riesca a dare un taglio più “vero”, perché più “sentito”, alla trattazione del fenomeno in questione. La conoscenza del mobbing è completa solo in chi ha una forte motivazione alla sua risoluzione e tale “forte” motivazione nasce unicamente in coloro che l’hanno subito. Chi ha la pancia piena non può sapere cosa significhi, esattamente, la vera fame!

Attualmente quanti iscritti ci sono?
Siamo in 101, ma ritengo che il numero degli iscritti ai gruppi su FB non sia significativo: una semplice adesione ad un gruppo non si traduce nella disponibilità alla mobilitazione.

Puoi parlarmi, brevemente, della tua esperienza lavorativa e del mobbing subito?
La mia esperienza di mobbing ricalca quella di tante altre persone. L’unica peculiarità, forse, risiede nel fatto che, sin dall’assunzione e per 20 anni, fui sottoposta a questa vile forma di tortura psicologica. Sintetizzo, comunque, la mia storia evidenziando tre fatti significativi: causa iniziale, denuncia ed epilogo.

Iniziamo con la causa iniziale...
Nel 1984 fui assunta in banca segnata da un marchio “quella che ha fatto causa per entrare”, poiché l’azienda fu costretta ad assumermi, a seguito di una sentenza giudiziaria, che mi riconosceva il reclamato diritto di vincitrice di una selezione cui avevo partecipato anni prima. Convinta - ingenuamente - che, anche senza raccomandazioni e lavorando onestamente, fosse possibile “affermarsi”, non capii che quel mio ingresso coatto segnava l’inizio della distruzione di un essere umano!

Quindi hai denunciato il tuo malessere in azienda?
Nel 2001, in risposta ad un’ingiusta lettera di contestazione - mai ricevuta sino a quell’epoca -, decisi per la prima volta di esporre per iscritto alla Direzione generale la situazione di angherie e soprusi che subivo da anni, confidando in una maggiore “correttezza” dei nuovi vertici aziendali rispetto a quelli vecchi, e reclamando giustizia per ciò che pativo da tanto tempo. Fu l’inizio della fine!...

Perché?
Venni sottoposta a isolamento, a continui trasferimenti, a lunghi periodi di inattività forzata, mentre mancate gratificazioni, soprusi e umiliazioni continuarono ad essere pane quotidiano! Subentrò un crollo psicologico, persi la stima in me stessa, ebbi una forte depressione e vari disturbi psicosomatici; il mio senso di impotenza mi indusse a pensare al suicidio come possibile rimedio alla mia sofferenza. La disperata ricerca di aiuti mi fece comprendere che il mio calvario aveva un nome: mobbing!

Parliamo del terzo “fatto”...
Risale al 2004 quando l’indifferenza della Dirigenza, del Sindacato e dei colleghi mi spronò a rivolgermi ad una delle Associazioni che si occupavano delle tematiche inerenti alla lotta contro il mobbing. I miei interlocutori mi invitarono a rendere la mia esperienza lavorativa oggetto di una testimonianza scritta, da divulgare in un convegno sul tema mobbing organizzato a Palermo. Accolsi la richiesta. Nonostante la mia fosse una testimonianza anonima e priva di riferimenti nominativi, a seguito di quel convegno la Banca iniziò ad addebitarmi una serie di contestazioni pretestuose o inesistenti, ma destinate a portare nel giro di pochi mesi al mio licenziamento.

Attualmente come si può sintetizzare la tua storia giudiziaria?
La mia esperienza lavorativa e il connesso iter giudiziario è, attualmente, sottoposto al giudizio della Corte di Cassazione, che dovrà esprimersi sul silenzio “omertoso” dei Giudici di Palermo riguardo alla mia storia di mobbing ampiamente descritta e documentata.

Gli studiosi di questo fenomeno concordano nel sostenere che le vittime del mobbing sono lavoratori competenti e ligi al proprio dovere. Qual è, in merito, la tua opinione?
No. Chiunque può diventare vittima del mobbing. Tuttavia, la mancata perseguibilità penale di tale fenomeno criminale rende il mobbing un efficace strumento, con cui si attrezzano le aziende, per liberarsi dei dipendenti “scomodi”, ossia di quelli non disponibili a “integrarsi” in certi ambienti lavorativi, perché dotati di propri codici etici di comportamento. Ritengo che, sinché gli abusi di potere verranno tollerati e non sanzionati, in qualunque azienda esisterà una potenziale vittima di mobbing.

Quanto è importante, a tuo avviso, la solidarietà e la vicinanza di familiari e amici per chi subisce mobbing sul posto di lavoro?
Solo con un grande affetto, con la propria sensibilità o tramite l’esperienza diretta si può “percepire” il dramma vissuto da chi subisce mobbing. La tortura psicologica, in cui si sostanzia tale fenomeno criminale, non è compresa da chi non l’ha provata. Familiari e amici o tendono a colpevolizzarti, o rimangono indifferenti interessandosi, unicamente, ad appagare la loro curiosità o, addirittura, infieriscono, approfittando del tuo stato di impotenza. È troppo pesante il fardello che porta a casa colui che, per otto ore consecutive, ha vissuto con l’inferno nell’anima! E questo è il motivo per il quale il mobbing infetta e si propaga anche al di fuori dell’ambito lavorativo, poiché un’esperienza distruttiva di tale portata mette alla prova la solidità dei rapporti affettivi. Io mi sono ritrovata sola e abbandonata a me stessa. La mancata condivisione della sofferenza e il mancato sostegno altrui nella ricerca di possibili aiuti mi ha indotto, per non soccombere “definitivamente”, a cercare in me stessa la forza per portare avanti la mia battaglia contro il mobbing, ma ha, altresì, distrutto la fiducia riposta in tutti coloro che ritenevo mi fossero vicini.

Ritornando al gruppo su FB, qual è il tuo obiettivo?
Cercare e individuare persone con cui collaborare, che siano attrezzate di strumenti politici, giudiziari o di informazione e determinate a combattere tale "crimine" in qualunque sede e con qualunque strumento democratico. Occorre che i mass-media rompano il loro silenzio su tale fenomeno criminale per formare una coscienza collettiva - ad oggi ancora mancante - sull’atrocità del mobbing, e che la classe politica fornisca ai magistrati gli strumenti legislativi appropriati per rendere giustizia alle vittime. Ritengo che, sinché non verrà emanata una legge ad hoc, che sancisca la perseguibilità penale del reato di mobbing e che preveda la riparazione - non solo economica - del danno esistenziale provocato, la sete di giustizia, invocata da chi denuncia il mobbing subito, rimarrà inappagata! (a cura di Carlo Silvano)

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