A San Fior per una lezione sul mobbing

San Fior - Circa 160-170 persone (in gran parte avvocati) hanno partecipato all'incontro su "Mobbing e Lavoro", evento organizzato dagli assessori Francesco Granzotto (Cultura) e Luigi Tonetto (Politiche giovanili) del Comune di San Fior.Nel suo intervento l'assessore Granzotto ha sottolineato che questo incontro culturale è stato un modo per festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia, e ha presentato i relatori e il tema della serata. Il moderatore Paolo Pastre (avvocato e consigliere comunale a San Fior), dopo aver illustrato brevemente il libro "Un lavoratore di troppo. Storie di mobbing nella Marca trevigiana", ha dato prima la parola al dott. Massimo De Luca (giudice del lavoro al Tribunale di Treviso), poi alla dott.ssa Aloma Piazza (avvocato) e infine allo scrivente.
E' seguito un dibattito col pubblico.
In attesa di ricevere dai relatori il testo della loro relazione, inserisco, qui di seguito, il mio breve intervento.


Il mobbing è sostanzialmente un malcostume, una violenza a volte brutale, altre volte sottile. L'amara realtà del mobbing può comprenderla pienamente solo chi ha vissuto un'esperienza di disagio in azienda, a contatto con superiori abituati ad insultare i propri collaboratori, e con colleghi che si adoperano per emarginare il malcapitato di turno, trasformando il posto di lavoro in un covo di vipere.
Quello che fa più male è che il mobbing nasce e prospera con il silenzio e nel silenzio, spesso complice di colleghi, perfino in ambienti di lavoro apparentemente al di sopra di ogni sospetto. Per sconfiggere questo tipo di violenza e difendere la propria dignità di lavoratore, ovvero un bene non negoziabile, l'unica strada da percorrere è quella di rivolgersi con fiducia alla magistratura.
Ed è proprio quest'ultimo concetto che ha ispirato questo volume che si intitola “Un lavoratore di troppo. Storie di mobbing nella Marca trevigiana”.
E' un volume che si apre con un'intervista al giudice Massimo De Luca, il quale spiega, ad esempio, cos'è il mobbing e in quali casi – sotto il profilo giuridico – si può affermare che un lavoratore vive in azienda una situazione di mobbing.
E in questo volume sono state raccolti casi di mobbing. Sono storie che si sono concluse con una sentenza del giudice del lavoro, e sono anche storie che ho raccolto direttamente dagli avvocati evitando di ascoltare i lavoratori, in modo da non correre il pericolo di riportare aspetti inficiati da vittimismo o personalismo.
I lavoratori che sono al centro di queste storie hanno in comune alcune caratteristiche, come l'onestà e la competenza professionale, e se si sono ritrovati nel mirino del datore di lavoro è solo perché il loro posto di lavoro doveva essere assegnato ad altri. Quest'ultimo punto è molto importante perché nel sentire comune si è portati a credere che per tenersi stretto il proprio posto di lavoro sia sufficiente essere bravi, essere capaci e competenti. Ciò, in realtà, non basta. E in qualsiasi azienda può capitare che il datore di lavoro per “accontentare” un fornitore, un cliente o un altro soggetto capace di procurargli dei benefici, sia disposto a privarsi di un bravo dipendente. E come si fa ad allontanare dall'azienda un bravo dipendente? Facendo mobbing, cioè togliendogli le mansioni e isolandolo dai colleghi, così che si senta solo e come un peso per l'azienda.
Qualche datore, come racconto in questo libretto, è arrivato a ridurre un dirigente che coordinava il lavoro di cinque dipendenti a svolgere mansioni di segreteria. In un'altra azienda trevigiana, pur di isolare il lavoratore preso di mira, il responsabile del personale era arrivato a dire pubblicamente che non si potevano aumentare gli stipendi dei dipendenti a causa di uno di loro – e fece nome e cognome – che, in sostanza, stava lì a rubarsi lo stipendio.
In situazioni del genere i datori riescono facilmente a trovare dei fedeli alleati tra i colleghi del lavoratore che si vuole mandare via. E' il caso, ad esempio, di chi va spesso col collega a prendere anche il caffè durante la pausa e, poi, all'improvviso, si vede da questi accusare ingiustamente di furto o di aver utilizzato in maniera impropria gli strumenti dell'azienda, come il computer o il fax.
Come afferma il giudice De Luca nell'intervista inserita in questo volume, “Molto spesso capita che il lavoratore si trovi tra due fuochi: da un lato il titolare che lo dequalifica e coglie ogni occasione per rimproverarlo, dall'altro i colleghi che gli tolgono il saluto e lo emarginano. In una situazione del genere, ritrovandosi così accerchiati, diventa difficile restare in azienda”.
E' importante sottolineare che anche un certo tipo di condotta dei colleghi può configurarsi come mobbing. “Di certo – come ha affermato il giudice De Luca nell'intervista – un lavoratore non può essere demansionato dai suoi colleghi che, però, possono prenderlo in giro, emarginarlo, e nell'espletamento dei suoi compiti mettergli i bastoni tra le ruote. Complicargli, insomma, la vita lavorativa, cosa che poi, ha inevitabilmente delle ripercussioni negative sulla vita familiare e sulle relazioni sociali.
Essere isolato all'interno dell'azienda resta l'esperienza più amara che un lavoratore possa soffrire. E' il caso, ad esempio, di un lavoratore che era stato demansionato: da magazziniere era passato ad occuparsi delle pulizie all'interno della fabbrica, in particolare doveva occuparsi di lavare i vetri e di spazzare il cortile. A questo lavoratore fu rifiutata la richiesta di poter pulire al mattino la parte del piazzale situata a nord, e al pomeriggio quella a sud al fine di evitare la tremenda canicola del sole estivo. Per isolare il lavoratore dai colleghi, gli fu intimato di non far parola con alcuno riguardo alla sua situazione, e capitò così che proprio il capo-magazziniere si avvicinasse a questo lavoratore per chiedergli cosa stesse succedendo; immediatamente sopraggiungeva il responsabile del personale che ordinava al lavoratore di tacere, altrimenti gli avrebbe inviato una lettera di richiamo.
Una storia che mi ha particolarmente colpito e che ho desiderato riportare in questo volumetto, riguarda un giovane ragioniere: dopo essere stato assunto in azienda aveva ricevuto, su iniziativa del titolare, prima un aumento in busta paga e poi un passaggio di livello. Tutto sembrava andare bene quando questo ragazzo fu – dopo un calvario – buttato fuori dall'azienda perché il titolare aveva assunto un altro dipendente per tenersi buono un cliente. Questo ragazzo, pur avendo trovato subito un altro lavoro, decise comunque di fare causa alla ditta per una questione di dignità personale. Purtroppo, dopo pochi mesi veniva barbaramente ucciso da alcuni balordi. Il processo, però, non si fermò: su richiesta di un familiare che voleva giustizia per il proprio caro venne però ripreso, e a maggio 2003, proprio il giudice De Luca condannava la ditta a risarcire gli eredi del lavoratore per il danno sofferto da mobbing.
In conclusione, ritorno al punto iniziale di questo mio intervento, quando ho detto che il lavoratore che in azienda subisce mobbing, deve trovare il coraggio di rivolgersi alla magistratura, e lo faccio leggendovi le parole di don Pietro Zardo, l'attuale cappellano del carcere di Treviso che in passato ha lavorato come operaio e, per questo libro, mi ha rilasciato un'intervista che ho utilizzato a mo' di conclusione.
Dice don Pietro Zardo: “So che avviare una causa per mobbing contro il proprio datore di lavoro non è una scelta facile: si tratta di mettere sul “tavolo” ingiustizie e umiliazioni subite anche per anni, di coinvolgere colleghi, di mettere in conto il rischio di perdere la vertenza e dover pagare le spese legali, di essere incompresi dai propri familiari, però dico che se un lavoratore se la sente, allora deve andare avanti. Sono convinto che non bisogna mai curvare la schiena
”. (Carlo Silvano)

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