Un lavoratore di troppo
E' in stampa il volume "Un lavoratore di troppo" dove sono raccolte diverse storie di mobbing relative alla Marca trevigiana. Anticipo una parte dell'intervista al giudice del lavoro Massimo De Luca (Tribunale di Treviso).
Mobbing: una parola,
tanti significati
“Una eventuale legge sul mobbing – esordisce il giudice Massimo De Luca[1] – può servire come deterrente nei confronti dei datori di lavoro, ma non credo che debba includere analiticamente tutte le tipizzazioni del fenomeno, dato che una normativa agile e che lasci spazio alla discrezionalità del Giudice sarebbe senz’altro più utile. In relazione al mobbing la prima proposta di legge risale al 9 luglio del 1996: di approccio squisitamente penalistico, era intitolata ‹‹Norme per la repressione del terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro››. Nell’unico articolo di questa proposta si legge: ‹‹Chiunque cagiona un danno ad altri ponendo in essere una condotta tesa ad instaurare una forma di terrore psicologico nell’ambiente di lavoro è condannato alla reclusione da uno a tre anni e all'interdizione dai pubblici uffici fino a tre anni››. Seguiva il secondo ed ultimo comma in cui si affermava: ‹‹La condotta delittuosa di cui al comma 1 si realizza attraverso molestie, minacce, calunnie e ogni altro atteggiamento vessatorio che conduca il lavoratore all’emarginazione, alla disuguaglianza di trattamento economico e di condizioni lavorative, all’assegnazione di compiti o funzioni dequalificanti››[2]. A questa prima proposta – riprende il dott. De Luca – ne sono seguite altre di impianto civilistico, senza però che si sia mai arrivati ad una conclusione dell’iter legislativo. Ritengo che senz’altro siano maturi i tempi per una legge sul mobbing, anche se intravedo dei limiti alle sue ricadute sul piano pratico. Sanzionare il mobbing come reato può, in astratto, costituire un deterrente nei confronti dei datori di lavoro, bisogna, però, anche prendere atto che molti processi penali si chiudono con un nulla di fatto a causa delle prescrizioni e dei condoni e l’apertura di un processo penale potrebbe tardare le azioni per il risarcimento del danno in sede civile”.
Giudice De Luca, in quali casi, sotto il profilo giuridico, si può affermare che un lavoratore vive in azienda una situazione di mobbing?
Intanto ogni caso è un caso a sé. Per discutere di mobbing bisogna tener presenti gli studi della Medicina del lavoro, che per prima ha descritto il fenomeno e distinguere il mobbing da fenomeni affini ma diversi, come ad esempio un semplice demansionamento. Il mobbing è poi un fenomeno che si caratterizza per una certa durata nel tempo e per la volontà persecutoria del mobber, per cui un semplice episodio di disagio vissuto dal lavoratore in azienda non può essere definito mobbing. A volte, nelle cause di lavoro, noto che gli avvocati accennano a situazioni di mobbing in riferimento a questioni diverse – come può essere un licenziamento senza giusta causa – per fare riferimento a situazioni di ingiustizia perpetrate dal datore di lavoro a danno del loro cliente. Perché si possa parlare di mobbing, però, ribadisco che un lavoratore deve dimostrare che a suo danno ci sono stati atti e condotte vessatorie protratti nel tempo che lo hanno portato ad una situazione di emarginazione.
Mi sembra un po’ generica l’espressione “protratti nel tempo”…
Gli studiosi più accreditati parlano di almeno sei mesi. Aggiungo che chi studia il fenomeno mobbing osserva varie fasi che richiedono, appunto, determinati tempi e in cui si nota, ad esempio, una prima condotta persecutoria messa in atto dal superiore, seguita da un’emarginazione del lavoratore in azienda, e che tale isolamento provoca una reale situazione di disagio per il dipendente. Sostanzialmente è in queste tre fasi che si concretizza il fenomeno del mobbing[3].
Che cosa si intende per mobbing “verticale”?
E’ quello perpetrato dal datore di lavoro o da un superiore, e si distingue da quello “orizzontale” che viene invece esercitato dai colleghi di lavoro. Molto spesso capita che il lavoratore si trovi tra due fuochi: da un lato il titolare che lo dequalifica e coglie ogni occasione per rimproverarlo, dall’altro i colleghi che gli tolgono il saluto e lo emarginano[4]. In una situazione del genere, ritrovandosi così accerchiati, diventa difficile restare in azienda.
Quindi anche i colleghi di lavoro possono essere ritenuti responsabili riguardo ad una situazione di mobbing…
Di certo un lavoratore non può essere demansionato dai suoi colleghi che, però, possono prenderlo in giro, emarginarlo, e nell’espletamento dei suoi compiti mettergli i bastoni tra le ruote. Complicargli, insomma, la vita lavorativa cosa che poi ha inevitabilmente delle ripercussioni negative sulla vita familiare[5] e sulle relazioni sociali. Anche un certo tipo di condotta dei colleghi può, dunque, configurarsi come mobbing.
Quando si parla di mobbing si pensa ad un dipendente costretto a subire determinate “pressioni” da parte di un superiore. C’è, però, chi sostiene che in certe aziende si verifichi una sorte di mobbing all’inverso: è il dipendente, cioè, che mette in atto una serie di azioni tali da costringere un proprio superiore a vivere male sul posto di lavoro[6]. Quali sono in merito le sue considerazioni?
Riguardo al mobbing l’ipotesi classica è quella verticale[7], ma può anche succedere che in una azienda il direttore di un ufficio venga sostituito con un altro che non è gradito dai sottoposti, i quali si coalizzano per creargli delle difficoltà.
Nella Marca trevigiana quali sono i settori che registrano un maggior numero di casi di mobbing?
Più nel settore Pubblico che in quello Privato e mi sembra di vedere più cause nelle società dei servizi che in realtà aziendali come quelle industriali. Stando alle statistiche il Pubblico supera il Privato ma è un dato, a mio avviso, da prendere con le pinze perché non è da escludere che un dipendente pubblico possa avere meno remore a far causa, rispetto ad un dipendente privato. In generale, comunque, è difficile dire quanto sia frequente il fenomeno mobbing perché non è possibile calcolare il numero dei casi che restano sommersi.
Nella provincia di Treviso quali sono le categorie lavorative più esposte al fenomeno mobbing?
In dodici anni di lavoro a Treviso posso contare con le dita di una sola mano le cause avviate da operai. E’ più facile, credo, che subiscano mobbing quelle figure professionali apicali, più vicine ai vertici dell’azienda, che, a un dato punto, non sono più gradite e – tanto per usare un’espressione gergale – vengono “fatte fuori”. Su questo punto, però, c’è da chiedersi se dirigenti e quadri reagiscano di più a situazioni di mobbing perché, rispetto ad un operaio, forse dispongono di mezzi e conoscenze tali da consentire loro di avviare una vertenza legale nei confronti della propria azienda. [...]
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